PASQUA 2005 UN AFFRESCO IN CONCERTO con i CANTORI DI ASSISI

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Ammirare, con lo sguardo verso l’alto, un’ atipica volta a crociera con medaglione centrale. Nelle vele vivissimi affreschi e, al centro, l’ immagine più forte, tema  e coesione del tutto.

Questa l’ impressione a caldo dell’ ascolto del concerto dei Cantori di Assisi di quest’ ultima Pasqua.

Concerto che, a tutto tondo e a forti tinte, mostra gli ultimi giorni della passione del Cristo, fino al suo culmine.

Nel medaglione centrale l’ emblema più forte , titolo del concerto stesso.

In Sparge la morte, il principe di Venosa, Carlo Gesualdo, tratteggia con pennellate decise e sapiente cromatismo, il volto di Cristo trasfigurato dalla sofferenza nell’attimo in cui si ritrova a fissare in viso la morte.

Un Caravaggio musicale, questo madrigale, dove luci ed ombre creano spazi all’immaginario. Stupisce il fatto che tale brano si debba alla genialità di un compositore che tutto fu meno che un religioso in senso stretto. Riuscì, però, a penetrare nell’ intimo di quel momento, comunque sublime, ponendosi da un punto di vista diverso: quello della morte, pronta a ghermire, e non del morente. Di essa sottolinea la pietà verso il dolore di colui che sta per essere da lei rapito. Lo riguarda,  sgomenta essa stessa, e ne prova pietà…”poi lo rimira e ne divien pietosa…geme, sospira e più ferir non osa”. Lei, la morte, si ferma, non osa proseguire. E’ l’esasperazione di un’ emozione, estranea, insolita. I toni calano, sembrano un sospeso nell’attesa della pur inevitabile conclusione. Le voci si attenuano, sommesse quasi esitanti: un tutto altamente suggestivo ma realistico. Cristo, infatti, si abbandonerà alla morte fiducioso, chinando il capo mentre spira.

L’ emozione pervade le navate e, nel pubblico, un rispettoso silenzio segue le ultime note.

Le vele rimandano al prima e al dopo di quest’ istante. La narrazione si sviluppa partendo dal trionfante ingresso a Gerusalemme,  attraverso il momento della condanna a morte, mettendo in risalto il rimprovero di Cristo al suo popolo. Così con Pueri haebreorum di D. Bartolucci , tre brani notissimi delle Laudes Evangelii e il semplice discanto Popule meus, si arriva ad una novità assoluta.

Maria, la Madre, nella narrazione evangelica segue addolorata il supplizio del figlio ma non parla. Nessuna sua parola è riportata in essa. Qui invece, Fra Marcantonio da S. Germano, di cui nulla si conosce, con Christo al morir tendea, per sole voci femminili, da voce a colei alla quale, dopo il figlio,  viene inflitto il tormento più grave. È una lauda dolente, di tipo contrappuntistico che nasce dalla rielaborazione di una melodia preesistente, una contrafacta, cioè il rivestimento sacro di una composizione profana. Fu inserita nella raccolta “Il Tempio armonico della Beatissima  Vergine” curata nel 1599 dal Beato Giovenale Ancina, Vescovo di Saluzzo. Dolente la melodia che accompagna le voci e, dolente ma dolce, il tono di Maria che invita i suoi a non abbandonare il Figlio che “per trarvi al ciel dà l’alma e il core.” Non c’è acredine, non c’ è rimprovero: è un invito dolce nel quale si legge tanta rassegnata sofferenza.

Altra vela, altro affresco. Qui siamo all’ interpretazione, in chiave assolutamente moderna, delle ore del Getsemani. Ne è autore il M° Luciano Migliavacca, vivente. Definiti “musica liturgica” per il nostro tempo i tre brani: Siete venuti a prendermi, Ho subito ingiurie e Sono triste esprimono potentemente il travaglio di quelle ore. Cristo si lamenta e la musica ne sottolinea l’ intima sofferenza per il tradimento, la tristezza dell’abbandono, l’angoscia per la fine imminente. Il tono recitativo di alcuni passi del primo e del terzo brano, tratti  rispettivamente dai Vangeli di Luca e Matteo, tessono  il collegamento tra i momenti più drammatici in cui le voci acute si innalzano, quasi un urlo verso il cielo, per imprimere nell’ascoltatore il senso della tragica conclusione. Composti per le celebrazioni ambrosiane del Duomo di Milano, non accade spesso di poterli ascoltare. Si tratta di un genere di musica sicuramente particolare ed interessante di cui i Cantori  hanno regalato una splendida ed apprezzata interpretazione.

Lo sguardo continua a spostarsi da un affresco all’altro, senza sosta, poiché ecco giunto il momento della Crocifissione preceduto da due composizioni che chiamano alla riflessione: Ecce quomodo moritur justus e Anima benedetta.

Sono J. Gallus e G.  Animuccia che se ne  incaricano. Siamo in pieno ’500 e il compositore sloveno sottolinea come ai Giusti sia riservata una fine assolutamente ingiusta nell’ indifferenza totale. Ma Loro attendono la resurrezione: porranno la loro dimora in Sion. La musica ben porge il senso del riposo della tomba e la pace di chi ha tanto sofferto. Animuccia invece, su testo variamente attribuito a diversi autori quali S. Caterina da Bologna, la Camilla Beata Battista Varano ed anche Jacopone, sollecita il credente ad osservare ciò che nel corpo di Cristo ha significato l’ offerta d’amore. La musica, omoritmica e dal tono alcune volte parlato, invita alla contemplazione della vittima sacrificale e muove alla pietà per tanto scempio.

Esplode, potente, il Crucifixus di A. Lotti prima che lo sguardo si inoltri. Lapidario, scultoreo, con le scarne parole centrali del Credo, firma e sublima il momento del “..tutto è compiuto”.

L’ascoltatore può realisticamente immaginare il Golgota, lontano ma assolutamente presente. Composto tra il XVII e il XVIII secolo, il  mottetto si articola su ben sei voci che si sovrappongono e si susseguono incalzanti,  creando ritardi e cromatismi a  scolpire la scena. Uno scalpello non avrebbe potuto far meglio.

Siamo alla fine. Lo sguardo può sostare ed indugiare sull’ ultima vela. Qui è il dolore della Madre, l’adorazione del corpo di Cristo che dopo lo  strazio torna nell’ Eucaristia e la lode trionfale all’ ammirabile creatore dell’ universo.

Una madre che piange il figlio non può non trascinare nel vortice del dolore e con Z. Kodali, nel suo Stabat Mater, le quattro voci piangono insieme nella sofferenza che si ripiega sommessa su se stessa. Anche l ‘occhio sosta e riposa.  E’ di nuovo compassione.

Aveva promesso, Cristo, che non avrebbe lasciato soli i suoi e D. Bartolucci , vivente, si inginocchia, con Ave verum, davanti al mistero eucaristico, coinvolgendo chi ascolta. L’organo accompagna la melodia alternandosi alle voci. Il pianissimo e dolcissimo finale nell’ esclamazione O Jesu dulce ripropone l’ adorazione del Mistero.

E’ J. S. Bach che terminava le sue composizioni con una sorta di sigillo: S.D.G. - Soli Deo Gloria-, a concludere riempiendo le navate con uno squillante e maestoso Gloria a Dio. Potente e trionfale la voce del Coro appone la propria firma sull’ affresco. Il plauso dei presenti si ferma a stento con la  richiesta di un bis e gratifica non solo la fatica dei Coristi e del Direttore P. Maurizio Verde ma, anche, approva pienamente e ratifica l’ operato dell’estensore del programma, sempre P. Maurizio, quale disegnatore delle sinopie.

Assisi, aprile 2005

Maria Francesca Tanda