ASSISI - PASQUA 2004 I CANTORI CANTANO LA TERRA PROMESSA

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Inedito il taglio, insolito il punto di vista in un concerto-percorso verso la Pasqua pensato e vissuto come un viaggio verso la “Gerusalemme”: terra stillante latte e miele, meta ultima della Pasqua di tutti.

E’ questo che viene invocato dall’ultimo branoErez, del M° F. Dominutti dal quale mi piace partire per esplorare a ritroso un repertorio che, come ho affermato in apertura, ha del nuovo e dell’inconsueto.

Questa volta non è la Croce a fare da filo conduttore anche se sottesa ed emergente ad ogni passo di questo itinerario che celebra la Pasqua –Passaggio- di Cristo, della Vergine, dei Santi.

Questi i tre punti forti, pilastri del repertorio che si snoda attorno a loro.

La Pasqua dei Santi è cantata con l’illustre Palestrina  in O quantus luctus e dai non meno illustri  A. Gabrieli con Filiae Jerusalem e  L. Refice con Vade Secura.

E’ evidente che la Pasqua dei Santi sia il frutto maturo della Pasqua di Cristo: anche Essi ammessi alla Gerusalemme per godere pienamente di quanto si compì sul Calvario in completa comunione con il Risorto.

Il mottetto di Palestrina, omaggio a S. Martino di Tour, si apre con un lugubre tema iniziale per ricordare il pianto e il lutto che segnano ogni trapasso ma che contrasta con lo squillante “gaudere Martino” che tutte le voci ripetono e che è un invito a superare la mestizia della morte e a guardare oltre. Su tutto trionfa la gioia del “dopo”. Invito certamente non facile da accettare ma la spiritualità che i Cantori riescono a  comunicare è sicuramente, per ammissione di alcuni spettatori, di grande stimolo.

Dolcezza e tenerezza emanano invece dalle parole del  Vade Secura: Chiara sollecita la propria anima a procedere verso l’Eterno in grande sicurezza poiché la consapevolezza di essere stata teneramente amata da Colui che l’ ha creata,  “velut mater filium”,  è  buona scorta per il Viaggio.

In chiusura le vigorose voci maschili innalzano parole di benedizione al Signore sulle quali intervengono le voci femminili a concludere questa benedizione ”…qui me creasti” con un vocalizzo elegante sull’ultima parola quasi per estenderne, prolungarne, penetrarne il significato. L’antifona si chiude con il concorso di tutte le voci che si placano e si posano su quelle stesse parole: alfa e omega della nostra esistenza.

Non poteva mancare il pensiero ed il ricordo dei tanti Martiri che costellano la storia del Cristianesimo. E’ il Filiae Jerusalem a sottolinearlo: allegro e gioioso invita, con l’intervento in successione delle quattro voci, a dare uno sguardo, fosse pure attraverso uno spiraglio, alla gioia del Paradiso per la presenza di Coloro che hanno celebrato la propria Pasqua nel martirio e che portano la corona per Loro preparata da sempre.

Ciò che canta il mottetto di D. Bartolucci in O Sacrum convivium che, a chiudere il cerchio  prima di Erez, segna la fine è preludio della Pasqua di noi tutti. Quotidianamente ci viene offerto di gustarla nell’Eucaristia, cibo per l’ eternità promesso dal Cristo,

Continuando nell’esplorazione ci fermiamo ad ammirare di nuovo il grande Palestrina che celebra la Pasqua di Maria.

Ad una lettura superficiale, il Regina cœli appare in aperto e stridente contrasto con ciò che segue e ciò che precede ma è chiave di volta, cerniera, fulcro, apice e tramite nell’intenzione dell’estensore del programma. Chi se non Lei al centro del tutto? Il suo consenso ha permesso ciò che ora per tutti i credenti  è certezza. Chi se non Lei, ora  tenera madre-fanciulla, ora  madre disperata e dolente che culla tra le braccia - vedremo poi - il suo unico Figlio, vittima sacrificale, ma Dio fatto uomo?  Chi se non Lei  a celebrare  la propria Pasqua da trionfatrice e Regina del cielo? Il suo pronto consenso dona la Pasqua all’umanità intera: noi tutti a Lei ci inchiniamo per renderLe omaggio facendo nostre le parole del grande Palestrina: “Regina cœli lætare… quia quem meruisti portare,  resurrexit! “.

Il Regina cœli , solenne e squillante,  scuote l’uditorio ancora sommerso dalla mestizia che  la prima parte del concerto ha suscitato.

Ci avviciniamo, appunto, sempre a ritroso, a contemplare il dolore. Il dolore del  Cristo, della Madre, della gente.

Ed ecco, in rapida successione,  composizioni  che spaziano nel tempo, dai contemporanei e viventi ad autori del XVI e del XIX  secolo.

Ad invitarci su questo itinerario, in una Via Crucis intimamente ed idealmente percorsa, è Hosanna Filio David di Bartolucci: la gente di Gerusalemme accoglie festante il Cristo.  Dilaga la gioia, nel mottetto, ma il resto è storia.

Sempre con Bartolucci, con i tre corali  dall’Oratorio “Le sette parole di Cristo”: dal popolo festante nell’Hosanna Filio David di apertura  a quello in preghiera che supplica il Signore ed invoca il Suo perdono in Parce Domine; dal lamento di Cristo nel Popule Meus, “Improperia” del Venerdì Santo, al sommesso Adoramus Te, Christe. L’ accorato grido di ribellione di Dio, il primo, davanti all’umanità ingrata che, scelta quale vigna feconda, si rivela nemica e selvatica. La melodia trasmette un’ indicibile e profonda tristezza che si spegne come  un lamento. In ginocchio davanti alla Croce, il secondo: atteggiamento  plasticamente evocato dalle voci appena udibili, quasi sussurri, dei Coristi.

Ora camminiamo a grandi passi verso il Golgota accompagnati da un canto processionale umbro, Santa Madre, melodia popolare armonizzata da Berardi  che si alterna alla più nota dello Stabat Mater con le parole di Jacopone da Todi.

Il dolore regna sovrano sulla prima parte forte del concerto. Impossibile non pensare ad un nodo che stringe la gola ma che costringe alla riflessione, scopo ultimo ed intimo dell’intero repertorio.

Ascoltiamo  T. L. de Victoria in Caligaverunt. Il dolore si manifesta acuto nelle note più alte dei soprani che invitano a domandarsi se esista un dolore simile al proprio: “…videte…si est dolor similis sicut dolor meus.”. Sono parole che possono essere attribuite alla Madre, al Cristo, al  credente. Ad ognuno e per ognuno un significato diverso ma sicuramente penetrante.

Si fece buio sul Calvario e sulla terra quel pomeriggio, verso l’ora nona, e tra le navate in S. Chiara l’atmosfera si fa greve questa sera. Le parole urlate da Cristo agonizzante, secondo la testimonianza evangelica dei Sinottici che le riportano in aramaico, sono proposte, riproposte e ripetute  . Sono i due Bàrdos, Lajos e Georgjj, con M. A. Ingegneri a farsene portavoce.

Dal XVI al XX attraverso il XIX il momento del “tutto è compiuto” ha affascinato ed ispirato compositori di origine e scuola completamente diversi. Il veronese, maestro di Monteverdi, ci propone un Cristo che al martirio aggiunge la sofferenza dell’abbandono: “ Deus meus, ut qui me dereliquisti…” Il brano ha del tenebroso in principio: le voci acute cantano su registri bassi quasi a dipingere la caligine di quell’ora. Il disegno musicale si innalza poi nel grido del suppliziato per calare ancora accompagnandone il reclinare del capo, evidenziato da lievissimi e sussurrati accenti  sillabici sulle ultime parole: “emisit spiritum”. L’interpretazione è superba, l’uditorio è attento, partecipe, scosso.

E non lo è di meno quando, con i due ungheresi, si contemplano momenti di acuta sofferenza. Con Georgjj  è ancora lo strazio di Cristo che urla  per l’abbandono: “ Elì, Elì…”.  Ripetuto più volte dalle quattro voci il grido si innalza, con varie dissonanze, a rendere l’amarezza, l’implorazione, il pianto. Discende, il grido, in un glissato particolarmente suggestivo che rende il tutto, se possibile, ancora più penetrante. Sono in aramaico, in questo brano, le parole del Cristo “…lammà sabàctani” e, forse la dolcezza della lingua, forse l’ultima parte della melodia, a questo punto non è più il lamento ma  l’abbandono. L’applauso  prolungato e intenso comunica al Coro ed al suo Direttore di aver colto nel segno.

Ora è il pianto. Il pianto della madre che stringe per l’ultima volta al suo seno il figlio. E’ un quadro di pianto sommesso, O languens Jesu,  di disperazione contenuta che si trasforma, quasi, in un dolce cullare. Questo è ciò che la musica di Lajos  ci fa pensare, questa è la Madre che più innanzi sarà salutata come Regina del cielo. Perché questa è la Pasqua!

Un repertorio impegnativo, difficile affrontato con grande impegno, serietà e professionalità. Non  alla portata di tutti per l’alto livello dell’insieme, ma sicuramente compreso e apprezzato dal folto pubblico - presenti molti stranieri - nella Basilica dal tutto esaurito.

Esausti, i Cantori non hanno potuto negare un bis a grande richiesta. Erez ha nuovamente coronato la fine del concerto e ricordato la meta ultima. Nella memoria di tutti  il percorso compiuto non sarà facilmente cancellato.

Assisi, Aprile 2004

Maria Francesca Tanda