O QUANTUS LUCTUS…. Orfani, i Cantori, piangono il loro Padre, Fondatore e Direttore P. Evangelista

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Se n’è andato.

“Sommessamente, con un filo di voce, quasi in ginocchio…”

Faccio mie le Sue parole più e più volte rivolte ai Coristi quando si preparavano ad  eseguire ’Ave Verum’ di Mozart, per tentare, ma solo tentare, di figurarmi quel momento.

Col garbo che Lo distingueva ha firmato il Suo addio.

E ci addolora ancora profondamente il ricordo della Sua agonia. Non quella legata al Suo declino  fisico, purtroppo inevitabile, ma quella della Sua anima, ben più sentita, più crudele, più sofferta.

La malattia lo aveva costretto al ricovero in infermeria, ma questo era stato preceduto da altri periodi più o meno lunghi di permanenza nella stessa per i motivi più diversi. Si era così ritrovato, brutalmente, privato del Suo micro-macrocosmo. Niente pianoforte, niente spartiti, niente coristi, niente prove. Niente  di niente. Il vuoto!

Languiva,  guardando le spoglie pareti della Sua stanza, languiva e si spegneva.

A poco servivano le amorevoli presenze dei Suoi più fedelissimi. Ogni giorno un pezzetto del Suo cuore si frantumava, ne soffriva atrocemente e moriva ogni giorno un po’ di più.

Ricordo una sera di quest’ inverno. Andai a trovarLo. Era in cappella. Lo attesi. Discorremmo, poi,  a lungo nel parlatorio dell’ infermeria. Ad un certo punto citò un brano ma Gli sfuggiva la melodia. La trovammo e cantammo: sottovoce, insieme.

S’ illuminò ed i Suoi occhi si accesero di gioia infantile come un bimbo che avesse appena ricevuto un giocattolo nuovo. Ma poi si preoccupò per me. “ và, corri, piove a dirotto…sta attenta e..grazie ”. Non mancava mai di ringraziare a profusione per una qualsiasi, anche piccola, cortesia. Ora sono io che Ti ringrazio, caro Padre, per tutto quello che da Te ho ricevuto. Per le lunghe chiacchierate, per i ricchi e preziosi insegnamenti, per avermi guidato a cercare di sentire più profondamente ciò che canto. Grazie.

Se prepararsi ad abbandonare le cose terrene è importante per la purificazione dello spirito si può, penso, affermare che Lui, il distacco, lo abbia pienamente conseguito ed il Suo spirito sia entrato molto, molto leggero nell’ eternità.

Il suo testamento spirituale? Un CD. “L’Amoroso Canto” il titolo da Lui scelto parafrasando la Divina Commedia. Un percorso musicale attraverso Assisi, o meglio, sempre con Dante, Lui  avrebbe detto:  “Non dica Ascesi, ché direbbe corto, ma Oriente, se proprio dir vole. “

I brani incisi accompagnano l’ascoltatore-pellegrino attraverso i luoghi i Francesco e Chiara  “dove ancora aleggiano i Loro Spiriti” diceva.

Con tutta la grinta di cui ancora era capace ha voluto questo disco e ne ha diretto alcuni dei suoi brani, proprio perché era  in Lui, ormai fortemente chiaro, l’approssimarsi della fine. Ha avuto ragione ed ha visto esaudito il suo desiderio. Il CD è stato realizzato e Lui ha potuto tenerlo fra le mani, ammirarne la veste grafica, ascoltarne le incisioni.

E’ facile, in queste circostanze, cadere nei luoghi comuni, usare parole altisonanti o toni accademici. Di Lui è stato scritto tanto e tanto, in altre sedi. E’ stato elogiato nei modi più diversi: è stata lodata la Sua opera instancabile di musicista, direttore, docente; è stata apprezzata la Sua umiltà: ” non sono un musicista vestito da frate ma sono un frate che loda Dio con l’arte della musica ” - ripeteva.

Ma qui ed ora, vorrei parlare dell’uomo, del ” frate ” -così veniva indicato in modo familiare dai Coristi- nella Sua quotidianità, nel Suo rapporto costante e continuo con il Suo Coro, perché sono questi i momenti che rimangono nella memoria di noi tutti: incancellabili, perché i ricordi fanno parte di noi, per sempre.

La cosa che di Lui maggiormente colpiva era il suo essere gioioso e, quasi, fanciullesco. Sì, emergeva sempre in lui il “ragazzaccio” che si vantava ancora, doppiata la boa degli ottanta, delle sue birbonate.

Nasce come Alessandro, nel gennaio del 1920, a S. Angelo di Celle,  piccolo borgo agricolo del comune di Deruta (PG) e, ancora bambino, entra in convento per studiare: -che se si porta bene, po’ darsi te l’ tengono- era il commento che il Parroco di allora rivolgeva alla madre, in ansia, del piccolo Alessandro. Ed era Lui, l’ormai vecchio P. Evangelista, a raccontare l’aneddoto, sorridendo di tenerezza al pensiero della trepidazione materna.

Accanto al paesino scorre il Tevere. Quando, sempre Lui, era bambino, il traghettatore offriva i suoi servigi alle persone che avevano necessità di attraversare il fiume. Alessandro era solito aiutarlo. Ma la cosa diveniva molto divertente quando, nell’accostarsi dell’imbarcazione alla riva, Lui, il Nostro, dando un forte strattone alla corda per l’attracco e, sicuramente nascondendo la risata, guardava i malcapitati che, perduto l’equilibrio, vivevano un momento di paura e, forse, di pericolo.

Lo immagino a piedi nudi e calzoni corti  ridere contento delle sue malefatte…Ma non è solo la mia immaginazione, era Lui che, nel raccontare, suggeriva queste immagini. Perché ancora rideva, e rideva di gusto, con gli occhi che brillavano…e questo accadeva ogni volta che il Coro cantava  ‘ O passator ’ .

Sì, perché ogni brano suscitava in Lui ondate di pensieri, di ricordi che Lo hanno segnato ed accompagnato in tutta la Sua esistenza. Ma le Sue birbonate, anche se mitigate dall’età, continuavano. Non gli dispiaceva, appena poteva, pestare qualche piede nudo protetto solo da un sandalo, tirare i capelli alle Sue Coriste, e, così per gioco, torcere qualche dito. Ma il Suo essere birbone riappariva anche durante le esecuzioni, quando, scontento di qualche accordo non perfetto, torceva la bocca e faceva le  smorfie più diverse per manifestare il Suo disappunto.

Chissà se ora, alla guida di un coro di Serafini, farà ancora le boccacce a qualche serafino un po’…calante!

Sapeva anche essere affettuoso e presente nella vita personale dei Coristi quando le vicende della vita lo richiedevano. In tutte le cose metteva il cuore. Ed era una cosa che chiedeva espressamente durante le prove e prima delle esecuzioni: “dovete cantare con questo strumento che sta qui, al centro” -diceva-  percuotendosi il petto, col pugno chiuso, all’altezza del cuore.

Il pugno…quello era, spesso, il Suo strumento. Batteva con forza le nocche sul leggìo che risuonava seccamente,  appena sentiva qualche nota mancante di ..un comma!

Amava raccontare, ricordando: concerti, concorsi, fatti, anche personali, ma sempre legati alla vita del Coro. Come quella volta che, tanti anni or sono, forse in Trentino, dopo l’ esecuzione di ‘Croci sui monti’ da parte delle voci virili, un alto ufficiale degli Alpini Gli si avvicinò per dirGli: - Mi avete commosso. Avete cantato con la punta del cuore…- Questo commento Lo aveva sicuramente riempito di una tale gioia che, fino a poco tempo fa, a distanza di anni ed anni sentiva il bisogno di riversare su chi Lo ascoltava.

Ogni accadimento, ogni brano scatenava un continuo fluire.

Le prove con Lui, per i Coristi più anziani, erano un’ immersione totale nei ricordi.

Ma, certamente, non solo questo. Erano lezioni in grande stile e di alto pregio. Da grande musicista, ma anche letterato,  lo studio di un brano diveniva occasione perché la Sua vasta ed eclettica cultura emergesse. Recitava a memoria interi passi dei Promessi Sposi e della Divina Commedia. Si commuoveva fino alle lacrime recitando quello delle nozze di Francesco e Madonna Povertà.. ” non c’è una virgola- sottolineava- non ce n’ è una! ” e si beava, incredulo che ingegno umano avesse potuto produrre tale bellezza!

Recitava, quasi attore consumato, regalando momenti di alta poesia, intimamente vissuta. Non si faceva fatica a capire quanto apprezzasse e godesse di quelle opere.

Ogni brano, scelto per un concerto, era per Lui un autentico capolavoro letterario e musicale. Lo sezionava, lo penetrava, e lo restituiva pronto per essere assimilato dai Coristi perché pretendeva con assoluto vigore che si cantasse capendo appieno, non solo il significato letterale ma, e soprattutto, quello profondo. Quello indicato dall’accento della parola, dal ritmo musicale e  del fraseggio, nascosto tra gli accordi, nel sovrapporsi o nel rincorrersi delle voci, nel cambio repentino di tonalità, nella ricchezza di un disegno polifonico, negli allegri, nei pianissimo…I pianissimo….li amava molto ed era riuscito ad ottenerli dai suoi Coristi tanto che anche questa era una caratteristica che distingueva la vocalità del Suo Coro da quella di altri.

E li usava, e come! Anche quando, nel prolungare ad libitum gli accordi finali, richiedendo, appunto, l’assoluto pianissimo, diventava estatico, socchiudeva gli occhi e, dimentico della resistenza respiratoria di chi lo seguiva, mormorava… ”sempre…sempre….sempre….”. Era il Suo finale.

Pretendeva il massimo e Lui, per primo, lo dava. Costantemente presente in cantoria era sempre disponibile alle prove supplementari ma soprattutto trascorreva le Sue giornate nello studio continuo. Il Suo spartito era un giardino fiorito di accenti, rimandi, annotazioni.

Una memoria forte e precisa Lo ha sempre sostenuto in maniera  invidiabile. Migliaia le partiture presenti nella biblioteca e Lui, oltre a conoscerle perfettamente, ne sapeva indicare l’ubicazione con precisione.

Ma, nonostante questo, studiava in continuazione da perfezionista e perseverante. ” Perseveranza, se il risultato è buono, tigna, se non lo è ”, spiegava spesso per sostenere una qualche sua tesi. Ma la Sua è stata sicuramente perseveranza, visti i risultati. Il Suo Coro che per fede di nascita si era impegnato a diffondere il messaggio francescano, ha percorso i cinque continenti ed il Cantico di Frate Sole ha echeggiato sotto le più disparate navate in diverse nazioni.

Le ultime visitate, in ordine di tempo, ma non era la prima volta, sono state la Palestina e Israele in un’occasione molto speciale: l’anno per la Pace.

Ma già molto anziano e sofferente - era il 2000 - il piacere e la gioia della tournée furono offuscate dai problemi di una salute ormai cagionevole.

La penultima, invece, in Argentina -1998 - fu, secondo i Suoi commenti, una delle più belle in assoluto soprattutto sotto il profilo umano oltre che concertistico. Tutti noi, in quei giorni, eravamo sbalorditi dalla Sua resistenza alla fatica. Non la sentiva. Pensava a godere di tutto ciò che quei giorni Gli regalavano. Viveva ogni cosa con passione, ma anche con la freschezza e l’ ingenuità di un bambino: sapeva godere delle gioie più piccole.

S. Francesco era l’ altra Sua passione. Ne citava spesso pensieri e momenti di vita. Per non parlare, poi, della Sua conoscenza delle due Basiliche. Ogni affresco, non solo, ogni angolo, ogni anfratto, ogni più piccolo particolare era motivo di lunghe descrizioni, particolareggiate e vivaci, che si sarebbero potuti gustare quei luoghi solo attraverso le Sue parole. Sapeva di pittori e scultori; citava luoghi e date, effettuava confronti, paragoni, paralleli. Ascoltarlo era un piacere infinito, nutrimento fresco e gioia pura per le menti desiderose  di conoscenza.

Il medesimo ardore poneva nella preparazione dei libretti per i concerti più importanti, ma anche per la descrizione e la presentazione dei brani. I Suoi scritti costituiscono una ricchissima antologia, fonte, unica nel suo genere, per gli anni avvenire nella storia del Coro. Ma di tutto questo lavoro instancabile e continuo, oltre alla fatica delle prove, l’apice era l’esecuzione. Il concerto rappresentava il momento più forte, e migliaia di scariche adrenaliniche hanno percorso le Sue fibre in oltre quarant’ anni di ininterrotta attività. Ma prima…, prima sudava e tremava come uno studentello alla vigilia di un esame importante. Sul podio, però, tutto cessava. In quel momento avveniva in Lui una trasformazione visibile e leggibile anche da parte di chi non Lo conosceva bene. Cominciava la musica e, per Lui, la danza. Danzava nel dirigere, quasi levitava. La musica Lo trasportava in dimensioni a noi tutti sconosciute ed impenetrabili. Le Sue mani, che un poeta locale ha, con bella metafora, assimilato a delle colombe, disegnavano, leggere, nell’aria preziosi arabeschi che il Coro, docile, seguiva regalando momenti di alto valore artistico e di profonda commozione, indiscutibili. Allora Lui raggiungeva, veramente, lo zenit. Raggiante si chinava per ringraziare degli applausi che con rara  modestia, indicando col braccio i Coristi, quasi rifiutava per sé : “ io non ho fatto niente…il merito è loro”.

Il tempo, si sa, non ha rispetto per nessuno e passa velocemente. La memoria, suo pilastro da sempre, comincia a venire meno e così le forze. Ma il gusto no. Quello, anzi, cambiava con un sentire diverso, forse più profondo: “ ora sono alla fine - ripeteva- e questo, indicando qualche passaggio, ora lo sento così…”. Si stizziva alcune volte nel sentire qualche timbro che Gli sembrava non troppo pulito “ mpò…, mpò…, mpò…voglio le voci belle!!! ”. Quasi strillava, battendo sul leggìo, interrompendo la prova e dimostrando ancora nei confronti della musica un vigore insospettabile in quell’ apparenza così fragile.

Sentendosi ormai vecchio e stanco, dimostra comunque il suo forte attaccamento al Coro e, negli ultimi anni, comincia a cercare un aiuto, una persona che un giorno possa ricevere il testimone e raccogliere la Sua  ricca eredità. La trova. E’ P. Maurizio Verde che Lo affianca e Lo sostiene diventando  condirettore del Coro.

Anche P. Maurizio ha alle spalle una lunga storia di studi. P. Evangelista lo conosce bene e sa perfettamente a quali mani  sta affidando la Sua Creatura, il Suo capolavoro, la sua Opera Summa.. Ma, da acuto e lungimirante qual era, vuole essere Lui, finché le forze Lo sostengono, a seguirlo, a vigilare perché tutto continui sul sentiero da Lui tracciato. La vecchia quercia, nodosa, rugosa, contorta ma ritta, custodisce all’ombra delle sue fronde  il germoglio del futuro, e vuole essere sempre Lui a incoronare il Suo delfino, a passargli lo scettro…no, la bacchetta !

E così è stato. In quest’ultimo anno, purtroppo, la Sua presenza si è fatta sempre più sporadica ed ora, alla Sua scomparsa, P. Maurizio riceve la preziosa eredità e diviene unico Direttore del Coro dei Cantori di Assisi.

Sa con assoluta certezza di avere un predecessore difficilmente imitabile ma il suo impegno  e la sua dedizione al Coro sono segni  tangibili della   lungimiranza  del ” frate ”!

E siamo ad oggi.

Raccolti in Chiesa Nuova, la Sua chiesa, i Cantori, con gli occhi umidi e il pianto in gola, in occasione del Trigesimo, cantano brani scelti tra quelli che Lui amava di più. È P. Maurizio a dirigere ma  noi, non ce ne voglia il Direttore, vediamo ancora Lui,  le Sue Mani, la Sua espressione ispirata, il Suo danzare.

Ciao, Padre Evangelista, i Tuoi Cantori canteranno con Te nel cuore. Per sempre.

 

Assisi,  luglio 2004

Francesca

(M. Francesca Tanda)